Progetto di supporto pedagogico all’integrazione scolastica degli studenti sordi

è una associazione di genitori  che hanno  figli sordi; ha circa 500 soci di cui 400 sono residenti in Lombardia. Fondata nel 1985, è iscritta nel Registro delle associazioni di volontariato della Regione Lombardia dal 1989 e nel Registro Regionale delle associazioni di solidarietà familiare dal 2000. Scopo principale dell’associazione è quello di assicurare ai bambini e ai ragazzi sordi, rieducati al linguaggio orale,  un futuro di persone autonome, ben integrate e serene, in condizioni di parità con i loro coetanei udenti, fornendo alle famiglie informazione e sostegno.

In particolare da anni a.l.f.a. mette a titolo gratuito la sua esperienza a disposizione dei genitori e delle scuole per la realizzazione della migliore integrazione scolastica possibile. Le numerose segnalazioni che ci sono pervenute negli anni mettono in evidenza le difficoltà della famiglia da una parte e della scuola dall’altra, a realizzare interventi adeguati ai bisogni dei singoli bambini/ragazzi sordi. A ciò si aggiunge una sempre maggiore difficoltà da parte dei centri di riabilitazione che hanno in carico i bambini a fornire un costante ed adeguato supporto alla scuola.

In collaborazione con il Servizio di Audiologia e Logopedia del Policlinico di Milano abbiamo iniziato a realizzare a partire dal 2005 un progetto di supporto pedagogico all’integrazione scolastica di bambini sordi nelle scuole dell’infanzia, primarie e secondarie, per estenderlo poi nel corso degli anni successivi a bambini in carico anche ad altri centri di riabilitazione.

  • la mancanza di metodologie adeguate alle difficoltà uditive da parte della scuola,
  • l’instaurarsi positivo di rapporti tra scuola e specialisti esterni,
  • le difficoltà di comunicazione tra scuola e  la famiglia,
  • spesso – soprattutto alla scuola secondaria – mancanza di momenti di confronto e condivisione tra colleghi. La presenza della pedagogista in questo caso aiuta a individuare uno spazio e un momento dedicati in cui progettare il percorso, metodi e strumenti più adatti al bambino/ragazzo con sordità.

La presenza della pedagogista inoltre, permette alla scuola di costruire dei modelli di collaborazione con l’esterno e il territorio, che diventa qualcosa di vivo cui poter attingere. Insieme viene costruito un linguaggio condiviso, con al centro sempre il bambino con la sua famiglia.

Il progetto che proponiamo si articola in alcuni incontri della pedagogista dell’associazione con gli insegnanti del bambino/ragazzo e in alcune osservazioni in classe, col fine di poter offrire alla scuola una risorsa per la messa a punto di un’efficace individualizzazione del progetto educativo e didattico.

L’intervento che proponiamo è di carattere squisitamente pedagogico: la figura della pedagogista, infatti, parlando un linguaggio molto vicino a quello della scuola, agisce nell’ottica di una co-costruzione insieme agli insegnanti di un progetto educativo/didattico mirato, a partire dalle specificità del bambino/ragazzo, del contesto, e dalle indicazioni che arrivano dagli specialisti della riabilitazione.

  • Migliorare la qualità dell’integrazione scolastica dei bambini/ragazzi sordi, sia dal punto di vista degli apprendimenti sia delle relazioni, attraverso un supporto e una consulenza agli insegnanti, curricolari e specializzati, in merito alla gestione e programmazione educativa/didattica, nonché una consulenza specifica nella stesura del PEI;
  • Fornire un supporto alla famiglia;
  • Mettere in comunicazione il linguaggio degli specialisti con quello della scuola, traducendo le indicazioni terapeutiche in “pratiche scolastiche”;
  • Creare/rinforzare la rete dei sostegni tra famiglia-scuola-assistenti alla comunicazione-specialisti;
  • Fornire un supporto alla figura dell’assistente alla comunicazione nella gestione della relazione educativa e nel lavoro di supporto agli apprendimenti;
  • Fornire una consulenza sul caso, progettata ad hoc, ogni volta partendo dalle specificità del ragazzo e dei contesti familiare e scolastico.
  • Colloqui di counselling pedagogico con i genitori;
  • Colloqui con gli insegnanti e partecipazione ai Consigli di Classe nelle scuole secondarie;
  • Colloqui con i ragazzi (a partire dalla scuola secondaria);
  • Colloqui con gli specialisti;
  • Colloqui con assistenti alla comunicazione;
  • Osservazioni all’interno del contesto scolastico e riabilitativo;
  • Partecipazione agli incontri di rete;
  • Consulenza specifica sulla progettazione e metodologia didattica;
  • Orientamento ai servizi del territorio;
  • Costante mantenimento di rapporti e contatti con tutti gli attori coinvolti, nell’ottica della costruzione della rete dei servizi.

Da ormai 10 anni il progetto prosegue positivamente, trovando un riscontro sempre più ampio, sia da parte delle scuole, che dei genitori e degli specialisti.

ALCUNE STORIE

F. a settembre inizia a frequentare il primo anno di una scuola dell’infanzia alle porte di Milano. Il piccolo, dell’età di quattro anni, è affetto da una sordità profonda, ma grazie alle protesi dimostra già di avere una comprensione molto buona, con lui infatti si può utilizzare un linguaggio verbale abbastanza sciolto, ed anche la sua produzione è piuttosto ricca e articolata rispetto alle difficoltà che solitamente incontrano i bimbi audiolesi di quest’età. La riabilitazione in questo caso avviene presso il Policlinico di Milano, il lavoro che viene svolto verte essenzialmente sulla strutturazione della frase, che porti allo sviluppo di un linguaggio più complesso, e sull’arricchimento del lessico, oltre che sul potenziamento cognitivo.

L’intervento della pedagogista a scuola, distribuito lungo l’arco di tutto l’anno, consiste in un vero lavoro sinergico con le insegnanti. Il contesto è uno di quelli più rari da trovare, la classe infatti è composta da 20 bimbi tutti di tre anni, con la presenza oltre alle due insegnanti di sezione, dell’insegnante di sostegno per un buon numero di ore, e dell’assistente alla comunicazione, presente tutte le mattine. Questo ha permesso di lavorare molto in laboratori di 4/5 bambini, con la possibilità quindi di far sperimentare i piccoli in esperienze manipolative, senso-motorie, espressive, altrimenti impossibili. Il contesto di piccolo gruppo inoltre per un bambino sordo è particolarmente facilitante in quanto permette all’adulto di accertarsi che tutto ciò che viene detto sia compreso e comprensibile, l’attività può essere maggiormente tarata sui bisogni e sulle specificità del bambino, l’interazione tra pari risulta più agevolata, e quindi è più possibile garantire un’effettiva e buona integrazione.

Il compito della pedagogista in questo caso è quello di svolgere da vero e proprio tramite con l’intervento logopedico, infatti i contatti diretti tra insegnanti e logopedista sono molto complicati. Per la scuola è stato utile sapere quale fosse il lavoro svolto dal bimbo in terapia, e a sua volta per la logopedista l’occhio su ciò che avveniva a scuola è stato un importante riscontro di realtà.

Alle insegnanti, alle prese per la prima volta con la sordità, sono stati descritti i principali effetti di questo deficit, le particolari attenzioni che avrebbero dovuto tenere con F., che pur dando prova di capire e parlare abbastanza bene, non bisogna sopravvalutare nelle sue piccole  difficoltà.

Dopo un iniziale incontro di conoscenza e scambio di reciproche informazioni, il focus si è spostato sul modo di essere del bimbo, particolarmente agitato ed energico, e quindi al modo di poter arginare ed incanalare questo a volte eccessivo flusso di energia, con il suggerimento di determinate attività che andassero in questo senso. È stato inoltre programmato che l’assistente alla comunicazione, ben integrata con le colleghe, si ritagliasse un piccolo spazio quasi tutte le mattine in cui poter lavorare individualmente con il piccolo, che ha risposto alla proposta molto positivamente. Questo momento infatti, in cui si è lavorato sulle favole stimolando quindi la produzione verbale e la rielaborazione del pensiero, ha permesso ai due di entrare maggiormente in relazione, e al bambino di trovare un momento per rilassarsi e scaricarsi dalle tensioni accumulate.

S. è una bambina sorda grave che frequenta il quarto anno di una scuola primaria milanese, frequenta una terapia logopedica circa due volte al mese presso il Policlinico di Milano. Ha la fortuna di avere le stesse insegnanti curricolari fin dal primo anno, mentre ha cambiato spesso insegnante di sostegno e assistente alla comunicazione, che riescono ad integrare il loro orario garantendo una buona copertura alla bambina.

In questo caso l’intervento della pedagogista consiste nel fare da tramite tra il lavoro e le indicazioni della logopedista e le attività didattiche: la bambina infatti presenta delle difficoltà specifiche in alcuni ambiti, come l’area logico-matematica e della composizione del testo. In questo caso, condividendo gli obiettivi con la terapista, insieme alle insegnanti sono state costruite delle attività didattiche mirate alle difficoltà di S. : costruzione di  materiali come tabelle e formulari, ridimensionamento di alcuni obiettivi, supporti di tipo grafico-visivo, adattamento dei libri di testo, accorgimenti comunicativi, oltre ad un’attenzione mirata ai bisogni educativi della bambina.

In questo caso sordità e difficoltà specifiche di altra natura si fondono e confondono, quindi è importante guidare e accompagnare l’insegnante nella comprensione della problematica e nella conseguente programmazione individualizzata. A queste si aggiungono anche delle difficoltà di tipo relazionale, che inficiano ulteriorrmente il rapporto di S. con i compagni: un’immaturità generale la porta ad avere interessi diversi dagli altri, ed anche le sue competenze relazionali spesso non le permettono di riuscire a rimanere dentro i giochi e le regole stabilite, cercando di assumere un ruolo da leader che poi però non riesce a mantenere. Per questo nelle ore di ricreazione del dopo-mensa è presente un’educatrice proprio per facilitare l’inserimento di S. nei giochi e nelle relazioni con gli altri bambini.

La situazione familiare della bambina non è delle più serene, i genitori infatti sono divorziati e in costante conflitto, tra loro, e talvolta anche con le insegnanti. Qui si gioca un ruolo molto delicato della figura pedagogica che, attraverso un lavoro di costante mediazione, cerca di mettere in comunicazione i vari nodi della rete, specialmente laddove la comunicazione è difficoltosa, se non del tutto bloccata.

Nel caso di A. l’intervento, avviato dietro richiesta della madre, si inserisce in una situazione di avvio di un nuovo ciclo di scuola, in cui tutto è nuovo, e non c’è una conoscenza di base della ragazzina da parte dei professori. A. ha una sorella gemella e un fratello più grande, la madre è straniera, ma molto ben inserita nella società milanese.

Le preoccupazioni della mamma, oltre agli aspetti didattici, riguardano soprattutto le fatiche psicologiche ed emotive della figlia, che la rendono una ragazzina piuttosto fragile, alle prese con una difficile accettazione del suo deficit, tutto sommato non molto grave.

In questa situazione il lavoro della pedagogista consiste da un lato, in un costante supporto genitoriale, dall’altro in un affiancamento dei docenti, alle prese per la prima volta con la sordità, e completamente digiuni di quelli che possono essere effetti e conseguenze. Attraverso le informazioni raccolte dalle osservazioni, sono stati dati ai docenti dei rimandi rispetto alla modalità più corretta di comunicazione, al problema della comprensione, all’uso del lessico, all’utilizzo del canale grafico-visivo, all’opportunità di prevedere dei momenti di tutoring o di piccolo gruppo che aiutassero A. a superare certi impacci relazionali …

Il contesto classe, in netta maggioranza maschile e formato da parecchi soggetti piuttosto agitati, non ha agevolato A. nell’inserimento, così che le relazioni sono rimaste complicate.

Non è possibile riferirsi a degli specialisti in quanto A. risulta dimessa dal servizio, anche se la mamma ha continuato a lamentare un forte bisogno di terapia e assistenza.

L’impressione generale della situazione di A. ha a che fare con un disorientamento di fondo degli insegnanti, che sembrano non cogliere fino in fondo il senso degli interventi suggeriti, non solo dal punto di vista didattico-metodologico, ma anche psicologico-relazionale. A. infatti rappresenta un complesso e delicato mix tra difficoltà fisica ed emotiva, che va affrontato con estrema consapevolezza. Una complessità di intervento questa, talvolta difficile da garantire, specialmente quando il contesto è poco preparato e accogliente.

L’intervento della pedagogista va proprio in questa direzione di presa di coscienza del problema, molto più complesso di quanto possa sembrare in apparenza, cercando di garantire tutela da una parte, e dall’altra di accompagnare e sostenere la famiglia, anche nel limitare le richieste eccessive.

L. è una ragazza sorda che presenta una pluri-disabilità, che la condiziona a livello motorio, cognitivo ed espressivo,rendendo il quadro della situazione particolarmente complesso.

Tuttavia, la messa in campo dei giusti aiuti e supporti necessari, permette in questa situazione di far fronte alla situazione in maniera piuttosto positiva.

In questo caso la pedagogista lavora in stretta collaborazione con la logopedista e la neuropsichiatra della ragazza, le indicazioni suggerite agli insegnanti si sono arricchite grazie agli spunti concreti portati dalle osservazioni in classe.

Nonostante tre figure di sostegno (un insegnante e due assistenti alla comunicazione) il raccordo tra loro è buono ed efficace. Serve del tempo per conoscere bene L., nei suoi punti di forza e debolezze, ma il lavoro proposto durante l’anno ha dimostrato una bella evoluzione in questo senso, sempre più mirato e tarato sulle specificità della ragazza.

Ai supporti di tipo informatico consigliati inizialmente infatti, gli insegnanti hanno saputo aggiungere materiale figurativo e descrittivo, costruito appositamente per L., dimostrando una particolare attenzione e sensibilità nel cogliere le sue esigenze.

Oltre alle questioni prettamente didattiche, non è mancata da parte della scuola un’attenzione di tipo più educativo, nel cercare ad esempio un supporto nell’affrontare la tematica dell’educazione sessuale, per la quale si è coinvolta oltre alla pedagogista e neuropsichiatra, anche la mamma.

Considerate le condizioni di partenza, anche le relazioni con le compagne sono gestite piuttosto bene, c’è una buona dose di attenzione da parte di tutti in classe, anche se il coinvolgimento di L. rimane sempre qualcosa che va “pensato”.

La figura della pedagogista si rivela piuttosto utile poiché, anche in questi casi di buone prassi, attraverso la sua presenza fisica a scuola, è riuscita a cogliere delle sfumature, degli spunti da cui far partire delle riflessioni, sia positive che negative. È stata fondamentale inoltre la collaborazione richiesta dall’insegnante di sostegno a inizio anno rispetto alla costruzione e condivisione del PED con la famiglia, scelta di un percorso didattico alternativo tanto sostenuto quanto temuto, ma che poi ha trovato l’accordo dei genitori, proprio perché adeguatamente supportati e accompagnati.

Motivo in più per sostenere l’importanza di una rete che funziona: i problemi, le sofferenze e le difficoltà non scompaiono, ma la famiglia e la scuola sentono di non essere soli nelle scelte e nei piccoli e grandi avvenimenti quotidiani.

L’idea per il futuro prossimo è di pensare dei percorsi non più solo individuali ma che prevedano il coinvolgimento anche dei compagni, in progetti specifici, come quello dell’educazione all’affettività.